A giugno 2016 è stata pubblicata da parte dell’EFSA – European Food Safety Authority – una relazione sulla presenza di particelle di microplastica e nanoplastica negli alimenti, con particolare attenzione ai prodotti ittici.
L’argomento è talmente complesso che è ancor oggi in fase di studio. Con il Settore Alimentare di Aicq Nazionale cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.
COSA SONO LE MICROPLASTICHE E LE NANOPLASTICHE?
L’EFSA definisce come microplastiche le particelle di dimensioni comprese tra 0,1 μm e 5000 μm e come nanoplastiche le particelle di dimensioni da 0,001 a 0,1 μm. Possono presentarsi in forma di pellet, fiocchi, fibre, sferoidi e granelli e rappresentano un problema emergente soprattutto per quanto riguarda l’ambiente marino.
Le microplastiche possono essere distinte in primarie e secondarie: le primarie comprendono ad esempio le polveri di plastica utilizzate per lo stampaggio, le microsfere impiegate nelle formulazioni cosmetiche o le resine industriali; le secondarie (predominanti) hanno origine dalla frammentazione dei rifiuti in plastica presenti nei mari, attraverso l’esposizione prolungata alla luce ultravioletta (UV) e l’abrasione fisica oppure possono provenire dall’ambiente terrestre, principalmente da prodotti per la cura della persona come il dentifricio e prodotti detergenti o da fibre tessili che entrano nell’ambiente marino attraverso i sistemi fognari.
Le nanoplastiche possono originare dalla ulteriore frammentazione delle microplastiche oppure derivare da composti di natura industriale.
ESISTE UN RISCHIO PER IL CONSUMATORE LEGATO AL CONSUMO DI PRODOTTI ITTICI?
Studi specifici hanno dimostrato che le microplastiche si accumulano nel tratto gastrointestinale e ad oggi l’EFSA è riuscita a stimare la concentrazione delle microplastiche nell’intestino dei pesci, nei crostacei e nei molluschi bivalvi (ostriche, cozze, ecc.).
Perché esiste un rischio per l’uomo? Nel caso di assunzione di pesci, l’uomo risulta non essere esposto alle microplastiche poiché questi prima di essere consumati vengono privati del tratto gastrointestinale. Lo stesso non si può dire per i molluschi bivalvi e per i crostacei, i quali vengono invece consumati per intero.
Le microplastiche possiedono la capacità di accumulare contaminanti nocivi quali i policlorobifenili (PCB), gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e residui di composti utilizzati negli imballaggi, come il Bisfenolo A (BPA).
L’EFSA ha stimato che una porzione di cozze di 225 g può contenere fino a 7 microgrammi di microplastiche e di conseguenza concentrazioni non irrilevanti di PBC, IPA e Bisfenolo A. E’ stato inoltre documentato che i detriti di plastica possano fungere da substrato per lo sviluppo di diverse popolazioni microbiche. Non si è invece ancora provveduto a stimare i livelli medi di assunzione delle nanoplastiche.
Per L’EFSA questo report ha rappresentato il trampolino di lancio per procedere con ulteriori indagini, ad oggi ancora in corso, per le microplastiche e le nanoplastiche: l’obiettivo è quello di effettuare studi di tossicità, inclusi gli effetti della lavorazione degli alimenti in particolare per le particelle di dimensioni inferiori (<150 μm) e valutare gli effetti locali nel tratto gastrointestinale umano. Inoltre, dovranno essere sviluppati e standardizzati specifici metodi analitici per valutarne la presenza, l’identità e la quantità negli alimenti, al fine di delineare un quadro completo mirato alla sicurezza alimentare globale.
Per ulteriori dettagli, vai a quanto pubblicato sul sito EFSA:
>>>> Microplastics and nanoplastics in food – an emerging issue
>>>>> Presence of microplastics and nanoplastics in food, with particular focus on seafood